giovedì 28 marzo 2013
Calciopoli: tre dubbi sulla sentenza Giraudo
di ROBERTO BECCANTINI
fonte gazzetta.it
Chiedo scusa se parcheggio per un attimo la volata scudetto. Ho appena finito di leggere le motivazioni della condanna per Giraudo (associazione a delinquere, venti mesi in appello), e dell'assoluzione per tutti gli altri imputati (arbitri, assistenti). Non ho mai creduto a una cupola esclusiva. Quello che emerge, o penso che emerga, conforta la mia opinione.
In buona sostanza: l'ex amministratore delegato della Juventus è un mero partecipante all'associazione, non ne è promotore (di qui lo "sconto") e si accoda a Moggi, sul quale pende ancora l'Appello del 24 maggio: e se lì cadesse l'impianto accusatorio, nessuno può escluderlo, a cosa avrebbe partecipato Giraudo? Senza entrare troppo nei meandri tecnici, mi hanno colpito tre cose:
1) Le schede svizzere. Ci è stato raccontato che erano la pistola fumante, il mezzo con cui gli associati comunicavano senza poter essere intercettati (qualcuno dovrebbe chiedere a Auricchio e Di Laroni come hanno fatto a intercettare la scheda guatemalteca di Lavitola). Oggi, viceversa, il giudice Stanziola dice che averla (arbitro Pieri) o non averla (Giraudo) risulta indifferente al fine della sua valutazione di colpevolezza o innocenza.
2) Cadute tutte le teorie dei sorteggi arbitrali truccati (la Casoria, al riguardo, è stata anche sprezzante nei confronti degli investigatori), lo scopo degli incontri carbonari e delle telefonate tra Moggi, Giraudo, Lanese, Pairetto e Bergamo (a proposito: Lanese, all'epoca presidente degli arbitri, partecipava a quegli incontri ma è stato assolto) è stato retrocesso ad accordi per la composizione fraudolenta delle griglie arbitrali.
Già, ma quali arbitri? Quelli che hanno scelto il rito abbreviato sono stati tutti (clamorosamente) assolti e tra i restanti quattro ancora coinvolti nel filone principale (De Santis, Bertini, Racalbuto, Dattilo), per quello che affiora dalle motivazioni, relativamente alla partita Udinese-Brescia, non mi meraviglierei se la stessa sorte toccasse anche a Dattilo.
Ne resterebbero così tre (sempre se condannati anche in Appello), il minimo sindacale, chiamiamolo così, per un'associazione a delinquere assimilabile alla mafia e alla P2 (Narducci dixit). Ma, appunto, può considerarsi tale una lobby che avrebbe inserito in maniera fraudolenta tre arbitri, su non ricordo quanti, in quattro o cinque griglie? Detto del sorteggio regolare, le probabilità di ottenere l'arbitro desiderato erano molto basse.
3) L'associazione, spiega il giudice, centrò l'obiettivo della salvezza della Fiorentina. Ma non si era detto che "non c'erano prove dell'alterazione dell'esito di quel campionato, in favore di questo o di quel contendente" (Casoria)? Quali sono le partite aggiustate per salvare la Fiorentina? Risposta: la famigerata Lecce-Parma 3-3, per la quale è stato condannato De Santis in primo grado (anche se tra le telefonate ritrovate ce ne sono alcune che "lo assolvono"). Non solo: verso la fine, Zeman lasciò il campo per protesta contro il "disimpegno" dei suoi giocatori, come ribadì nel processo di Napoli. Gara, tra l'altro, il cui esito non era affatto garanzia della salvezza della Fiorentina e del piano criminoso. Insomma: rispetto le sentenze ma i dubbi restano.
domenica 12 agosto 2012
"Piaccia o non piaccia alla Rai, il rigore su Vucinic, scovato da Rizzoli, c’era."
http://www.beckisback.it/2012/08/11/cominciamo-bene/
COMINCIAMO BENE
di Roberto Beccantini
Cominciamo bene. Con il Napoli che «cancella» la premiazione della Juventus. Tira aria di complotto anche a Pechino. Tecnicamente, per quello che può valere il calcio d’agosto (molto poco), la partita è stata equilibrata ed è finita due a due. L’ha cambiata l’ingresso di Vucinic e firmata Mazzoleni. Il rosso a Pandev, per un vaffa all’assistente Stefani, è una botta di integralismo in un mare di smaccata tolleranza (soprattutto con gli speroni di Cannavaro e Inler, all’inizio). Le espulsioni di Zuniga (doppio giallo) e Mazzarri (proteste) appartengono alle storie tese dei romanzi diversamente olimpici. Piaccia o non piaccia alla Rai, il rigore su Vucinic, scovato da Rizzoli, c’era.
Non uno del Napoli, naturalmente, che abbia ricordato il penalty che, nella finale di Coppa Italia, venne sfilato a Marchisio, sullo zero a zero. Lungi dall’attenuare le responsabilità globali di Mazzoleni, voto 2, racconta della memoria a orologeria degli italiani. Era il battesimo dei giudici di porta: mamma mia.
E adesso? La Cina è lontana, ma non ho colto tracce di «sistema dittatoriale». Il Napoli ha giocato all’italiana, trincee fragili e contropiede ficcante. La Juventus, come le ha insegnato Conte e rinfrescato Carrera: sequestrando il territorio. I ritmi e il pressing, però, erano vaghi; e la difesa, troppo alta e larga. Il gol di Cavani conduce all’eresia zemaniana (tutti nella metà campo sbagliata); il gioiello di Pandev, a una leggerezza di Bonucci (non sarà la sola).
Bello l’esterno sinistro di Asamoah, già a suo agio. La sfida ha riassunto, a grandi linee, le tendenze dell’ultimo campionato: al Napoli, perso Lavezzi, il concetto di profondità fa aggio sull’idea di possesso-palla; nella Juventus, c’è la torta ma non ancora (o non sempre) la «ciliegina», a meno di non considerare tale il Vucinic di Pechino, inno allo stretto necessario. Calma.
martedì 22 novembre 2011
"CONTE, l'ultimo gladiatore" recensito dal CORRIERE DELLO SPORT
LA BELLA RECENSIONE DEL CORRIERE DELLO SPORT
CONTE IL GLADIATORE Se la Juventus è tornata a guardare le sue avversarie dall’alto in basso e soprattutto a far vibrare di passione i suoi tifosi, parte non piccola del merito va ascritta al suo tecnico, a quell'Antonio Conte già gladiatore da giocatore («un pirata del calcio, centrocampista più di lotta che di governo»», come lo descrive Roberto Beccantini nella prefazione) e portatore sano di juventinità. Protagonista in campo in una delle squadre più vincenti degli ultimi venti anni, il ragazzo che da Lecce partì alla conquista del calcio viene raccontato (e si racconta lui stesso in una intervista esclusiva) nelle sue caratteristiche e segreti, nei tanti trionfi conquistati in maglia bianconera, nelle pagine oscure di Calciopoli e nel suo ritorno da prima pagina a Torino. In appendice, i numeri e le statistiche di Conte, poi il suo «alfabeto» (da A come amore per la maglia bianconera a Z come Zidane, una delle colonne della «sua» Juventus) e i contributi di suoi ex compagni o addetti ai lavori.
ANTONIO CONTE, L'ULTIMO GLADIATORE; di Alvise Cagnazzo e Stefano Discreti, BradipoLibri, 134 pagine, 15 euro.
Per acquistarlo in promozione per tutti i lettori del blog
http://stefanodiscreti.blogspot.com/2011/09/conte-lultimo-gladiatore.html
mercoledì 21 luglio 2010
Marotta rimandato? No, bocciato



“Per cancellare certi pregiudizi, basta rivisitare la storia bianconera: l’hanno scritta campioni scovati in piccoli club e diventati grandi a Torino. Anastasi e Gentile s’erano messi in luce nel Varese, Prandelli e Cabrini tra Cremonese e Atalanta, Conte era cresciuto nel Lecce, Ravanelli aveva stupito alla Reggiana:vogliamo rinverdire quella tradizione”.
Caro Marotta, se mi permette, le voglio dare un consiglio: lasci perdere il passato. Lasci perdere paragoni con le vecchie Juventus targate Boniperti o Triade. Perché è anche vero che ogni anno Boniperti e Moggiandavano a scovare in provincia nuovi talenti da inserire nel gruppo, ma forse (volutamente?) dimentica che quelle Juventus erano piene zeppe di campioni che permettevano la lenta maturazione dei giovani e l’integrazione dei nuovi arrivati.
A questa Juve manca proprio la base su cui costruire. Mancano i campioni da cui ripartire.
Da rispettare.
sabato 13 febbraio 2010
Dramma ai giochi...


Immagino le ghignate di Luciano Moggi e della combriccola lodigiana dopo la richiesta di patteggiamento avanzata da José Mourinho ed Ernesto Paolillo per gli incendiari sermoni post derby (da «Hanno fatto di tutto per non farci vincere» a «C’è una volontà non leale di riaprire il campionato»). Do you remember Oriali? Ramo passaporti, patteggiò anche lui. Un vizio di famiglia. E immagino pure la ispida reazione alla originale pensata dei presidenti: qui ci vuole il sorteggio integrale. Ma come: il calcio, digerita Calciopoli, non si era dimesso da «cosa nostra» per diventare «cosa seria»? Non avevano garantito, Abete and friends, che gli errori ci sarebbero sempre stati ma, appunto, avremmo dovuto considerarli errori e basta, senza moggiologie inquietanti o meanate inquinanti? «Venghino venghino».
Al ritorno in serie A, la Juventus scrisse addirittura a Collina per censurare i trilli di Dondarini a Reggio Calabria. Nella stagione 2007-2008, la Roma denunciò gli aiutini di stato elargiti alla casta Diva. Da tempo, Aurelio De Laurentiis ha adottato la politica del tergicristallo: quando il Napoli vince, Calciopoli non esiste più; quando perde, Calciopoli esisterà sempre. Da Palermo, Maurizio Zamparini minaccia un Everest di dossier. Come, a turno, quasi tutti i boss del pallone, tranne, curiosamente, i primi in classifica (Paolillo dixit). Corre voce che persino il Milan non sia più contento di Collina, in barba a una forbice - sette rigori a favore, uno contro - non proprio da perseguitati. Fuor di metafora, i presidenti di serie A non si fidano nemmeno della loro ombra, e allora: a tentazioni estreme, estremi tentativi. I voti agli arbitri e il sorteggio integrale. Maurizio Beretta, che della Lega è il capo teorico e il microfono materiale, non ci vede nulla di scandaloso. In effetti, la faccenda è ridicola, non scandalosa.
Fa morire dal ridere il pensiero che questa classe di dirigenti senza classe tema di essere pugnalata alle spalle dai propri simili, salvo poi beatificare Moggi da squalificato dopo averlo squalificato da «libero» (Zamparini) o volare a Napoli per raccontare la lontana eco di frasi annusate (Cellino). Se il designatore rimane il peggiore dei regimi, esclusi tutti gli altri (come diceva Churchill della democrazia), il sorteggio, specialmente se integrale, è la terapia che, lungi dal guarire il male (i sospetti, la sudditanza psicologica, eccetera), uccide la cultura degli arbitri. Fra parentesi, non è manco una novità. Era il metodo in vigore ai tempi di Calciopoli: pilotato, però. Molto pilotato. C’era già stato anche in precedenza. Soprattutto, nella stagione in cui lo scudetto lo vinse il Verona: 1984-‘85. Integrale? Col cavolo: guidato pure quello. Non è la prima volta che la Lega allunga le mani sugli arbitri. I quali devono rispondere, esclusivamente, alla loro Associazione e alla Federazione. Ecco: ci vorrebbe un presidente forte, non Giancarlo Abete.
Gli ultrà sequestrano gli stadi e addirittura i campi d’allenamento, e cosa s’inventa Abete? Il rosso per bestemmia. Non solo: la prova tv contro i labiali blasfemi. «In dubio pro deo»: ci mancherebbe. Mettetevi nei panni del giudice sportivo Gianpaolo Tosel: gli arriveranno chili di filmati dai quali dovrà estrarre, nel perenne e italianissimo conflitto tra peccato e reato, il fatidico moccolo, il blasfemo rimando. Per carità, bestemmiare è un atto così riprovevole e disgustoso che già il regolamento contempla congrue sanzioni: fu proprio da una punizione «per bestemmia» che, nel 1975, la Juventus ricavò a Como il gol di un generoso due a due. C’è, però, un limite a tutto. Si mormora che persino il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di stato del Vaticano e juventino fino al midollo, si sia rivolto in modo brusco al Padreterno durante le «bestemmie» pedatorie della sua Juve a Livorno (o col Catania, o a Verona). Non invidio Tosel e non invidio gli zii. Ero fermo allo zio d’America e allo zio Bergomi. D’ora in poi ne salteranno fuori di così laidi (porco zio e zio maiale) che diventerà un esercizio delirante cogliere la sottile ma epocale differenza.
Per il made in Italy, si tratta dell’ennesimo colpo sotto la cintura: meglio arruolare giocatori stranieri abituati, almeno in campo, a lasciare Dio alle sue incombenze, che a volte coincidono con un autogol all’ultimo minuto, a volte no. Povero Trap, in bilico precario fra damigiane di acqua benedetta e porchi zii mai così sotto tiro. E poveri arbitri: già non riuscivano a cogliere i buuuu razzisti, figuriamoci il filo sottile che separa una d da una zeta, con il (solito) rischio di essere schiacciati dall’esame moviola. Esame al quale, tanto per restare in tema, non venne sottoposto nemmeno Contini quando, in Juventus-Napoli di Coppa Italia, passeggiò sopra la schiena di Del Piero. Proposta: perché non sorteggiare i dirigenti?
lunedì 14 dicembre 2009
Grazie Conte
E' lo stesso giornale che tre mesi fa esaltava Ferrara ed i suoi metodi di allenamento, elogiando il "grande" mercato estivo bianconero e la gestione dirigenziale.......
E' la Juve dei record... negativi
giovedì 19 novembre 2009
Mondial-Furto


Tra gli altri spareggi mi ha particolarmente colpito l'eliminazione della Russia:
Fatti, non parole.
giovedì 15 ottobre 2009
Lippi, il popolo è sovrano

Alla fine ce la fa anche l'Argentina di Maradona che segna e vince in Uruguay per 1 a 0, subito dopo l'ingenua espulsione di Caceres.
giovedì 8 ottobre 2009
Ibra, Moratti e Cobolli

Il punto di Roberto Beccantini
Far credere, o fingere di credere, che la sostituzione del presidente Giovanni Cobolli Gigli rappresenti una svolta epocale nella storia della Juventus, rimanda a Jorge Luis Borges e alla baruffa dei due calvi per un pettine. Dai tempi di Boniperti (escluso, naturalmente), la carica di presidente della Juventus è sempre stata formale, prova ne siano l’avvocato Chiusano e Franzo Grande Stevens. Nessun dubbio che Cobolli Gigli sia un galantuomo: quando lo feci partecipe del derby contro la Sla, aderì in due secondi. Nessun dubbio che abbia raccolto il testimone in giorni, settimane e mesi molto cupi: i giorni, le settimane e i mesi di Calciopoli. È stato il megafono dell’operazione smile. Ma sia chiaro: l’onore di essere presidente della Juventus, una delle prime società al mondo, supera qualsiasi onere, sconfigge qualunque tempesta.
Il problema di Cobolli Gigli è un non problema. Sarebbe potuto restare lì a vita. Non piaceva ai tifosi, e i nuovi reggenti - quando vogliono - sanno captare, e lisciare, le fregole della piazza. Dejan Stankovic venne sacrificato sul pulpito del risentimento popolare. Claudio Ranieri, idem. La gente aveva un debole per Ciro Ferrara? Eccolo. Ultimo «frazionista», Cobolli Gigli. Ho letto valutazioni legate alla buona tavola e al buon vino (!). Carlo Verdelli, direttore della Gazzetta dello Sport, ha riesumato il titolo della vecchia rubrìca di Candido Cannavò: «Fateci capire». Semplicissimo: il problema non è il presidente (che non conta anche quando sembra un conte), il problema è la competenza tecnica della società. Sogno un «presidente» che sbagli i congiuntivi e detesti la buona tavola ma magari, all’ultimo momento, prima di buttarsi su un laido hot dog, urli dal tavolo imbrattato di senape: ehi, ragazzi, prendete pure Andrade ma visto il ginocchio che si ritrova, perché non ci cauteliamo con una bella clausoletta? Obiezione: questo non era compito del presidente. Avrebbero dovuto pensarci il direttore generale o il direttore sportivo. Verissimo. Purtroppo.
John Elkann si è innamorato di Jean-Claude Blanc così come l’avvocato Agnelli si era invaghito di Michel Platini. Presidente, amministratore delegato, direttore generale: non male, come regalo di nozze. L’area tecnica rimane affidata ad Alessio Secco. Manca un dirigente che sappia di calcio e, per questo, possa dare una mano al giovane Alessio e all’apprendista Ciro, dal momento che nessuno nasce imparato. Il referente che avrebbe aiutato Ranieri a gestire meglio la crisi primaverile della stagione scorsa: manca un tipo così, e la proprietà agita lo scalpo di Cobolli Gigli. Complimenti. Si continua a parlare di Giuseppe Marotta, e di Marcello Lippi: oggi in maschera, dopo i Mondiali senza.
La composizione del Consiglio d’Amministrazione è un altro non problema. Serve, urgentemente, competenza tecnica fra il vertice e la squadra. Lì è il vuoto, lì è il ritardo dall’Inter. Non si pretende la luna, ma un manager che, non appena Corvino fissa il prezzo rescissorio di Felipe Melo, attenda almeno un minuto, dicasi uno, e ci pensi su, prima di precipitarsi a Firenze con 23 milioni di euro e Marchionni al guinzaglio. L’onnipotenza riconosciuta a Blanc lascia perplessi. Blanc viene dallo sci e dal tennis, Montali, fresco di uscita, dal volley: d’accordo, siamo in Italia, il più anomalo dei Paesi anomali, ma è chiedere troppo uno specialista di calcio all’interno di una società di calcio?
domenica 13 settembre 2009
Tris Juve

L'avevo pronosticato:vincere di nuovo all'Olimpico sarebbe stato molto più duro contro la Lazio, seppur priva di Zarate.
Basti pensare anche all'esordio con goal per Trezeguet, fino a quel momento praticamente spettatore pagante.
domenica 30 agosto 2009
Mamma che Diego

La differenza è Diego. Per ora, dentro la Juventus. In futuro, chissà.
mercoledì 15 luglio 2009
"Sarà duello Juve-Inter"
giovedì 9 luglio 2009
Juve alla pari con l'Inter?
venerdì 19 giugno 2009
Italia, che mummie




lastampa.it
La Confederations Cup rotola pigramente verso il suo destino. Brasile e Spagna, due vittorie su due. L’unica variabile al ribasso, fra le Grandi, è l’Italia: carenza di fantasia, non uno che salti l’uomo. Gli americani erano rimasti in dieci poco dopo la mezz’ora. Scoppiarono nella ripresa, logorati dall’uomo in meno e forati dai chiodi di Giuseppe Rossi. L’Egitto con noi le aveva sempre buscate, quattro partite quattro sconfitte. Ci aspetta al limite dell’area, come noi un tempo. A Zidan manca la e finale, non però il gusto per il calcio di tocco. Rossi stavolta parte titolare, con Quagliarella e il generoso Iaquinta. Non sarà la stessa cosa. Pirlo e De Rossi non bastano e, a tratti, addirittura non servono. È un’Italia mediocre, di confine, alla quale il ritorno di Cannavaro non offre certezze (anche se sul gol di Homos la colpa è di De Rossi).Una lagna tremenda, un sonoro ceffone alla storia e alla classifica Fifa (noi quarti, loro quarantesimi). Già con gli Usa, per quello che può valere un torneo del genere, le ombre avevano schiacciato le luci. Fu l’espulsione di Clark a spezzare l’equilibrio. L’Egitto resta in undici, e si sente. Senza il rigore dell’epilogo, avrebbe bloccato il Brasile, un dettaglio che molti hanno trascurato. I «vecchietti » di Lippi hanno bisogno di stampelle che il ct proprio non trova, da Montolivo a Rossi, sostituito come un figurante qualsiasi. L’importante è non passare da un eccesso all’altro, da Rossi Nembo Kid a tutto qui Pepito? Siamo capaci di questo e altro, noi italiani. Brutta la navicella di lunedì, fragile e ruminante la scialuppa di ieri sera, al di là della sfortuna e delle parate di El Hadary. In tempi non sospetti, Lippi aveva predicato gli effetti benevoli di un eventuale fallimento. I «vecchietti», come li chiama lui, lo hanno preso sin troppo alla lettera. Un’altra mezza partita regalata. E così, domenica, dentro o fuori con il Brasile. Per ora, il colore dominante è il grigio né carne né pesce delle nostre divise.
Continua intanto l'operazione "entusiasmo" lanciata dai giornali a favore della squadra bianconera.
Il mercato la promuove : "sarà Super Juve". Sarà.....
Intanto oggi potrebbe esser il giorno decisivo per l'approdo di D'Agostino in maglia juventina mentre per il sogno(o più illusione?) Giuseppe Rossi bisognerà attendere le eventuali cessioni a fare cassa,
Non si argina il momento negativo in casa milanista:
sfuma per motivi di salute persino l'acquisto del talentuoso terzino sinistro Cissokho.
Ancora una volta Corvino si conferma una vera volpe del mercato anticipando tutti:
alla Fiorentina verrà introdotta la clausola rescissoria.
Da oggi a Firenze non ci saranno più incedibili.
E' il futuro di questo nuovo calcio sempre meno poetico e sempre più materialista.
Mi stupisce inoltre il colpo Drenthe, che la squadra viola sta per fare. Prestito con diritto di riscatto.
Vista la carenza di esterni sulla fascia sinistra in casa juventina, non ci si poteva fare un pensierino su, nei frequenti viaggi a Madrid?
giovedì 11 giugno 2009
Italia d'oro




La memoria di Gianfelice Facchetti
ROBERTO BECCANTINI
«Cannavaro insiste in maniera patetica sulla storia dei 29 scudetti, in barba alla giustizia sportiva. Lo fa senza ritegno, senza che nessuno dei vertici federali gli faccia presente quel che è stato e che il ruolo che oggi riveste comporta responsabilità». È l’incipit del corsivo che Gianfelice Facchetti, figlio dell’indimenticabile Giacinto, ha scritto per il «Corriere della Sera» del 9 giugno 2009. Un’opinione forte: discutibile ma rispettabile. Ciò doverosamente premesso, lo stralcio e l’articolo suggeriscono qualche riflessione.
mercoledì 8 aprile 2009
The show must go on
Non me la sento però di esprimere ancora un mio concetto personale ed allora parlo attraverso 2 opinionisti juventini a cui sono molto legato.
Nel video qui sotto riportato, Giampiero Mughini spiega in pochi minuti la farsa che è stata Calciopoli, alla presenza in studio di Gianluca Paparesta.
Roberto Beccantini invece lancia un appello:
Juve basta Knezevic, Poulsen & C. Cosa vuoi fare da grande?

La Juventus, seconda in Italia, ha raccolto 63 punti in trenta partite, cinque in più di un anno fa. Il Liverpool, secondo in Premier, «appena» 67 in trentuno. E poiché il Liverpool è il Liverpool, inutile barare: il livello medio del nostro campionato è modesto. L’analisi del dopo Pellissier non può non partire da questo dato. I rischi sono due: far finta di niente, far finta di troppo. Poteva fare di più, calcolando infortuni e variabili assortite, la squadra avvicendata dal 31 agosto a domenica? No. Poteva essere migliore, visti i quattrini investiti? Sì. In attesa del nuovo stadio, e delle sue ricchezze, le idee non conteranno meno dei soldi. Le idee e la chiarezza d’intenti. Dalla politica dei «normali ma molti» urge passare ai «pochi ma ottimi».