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giovedì 28 marzo 2013

Calciopoli: tre dubbi sulla sentenza Giraudo


di ROBERTO BECCANTINI
fonte gazzetta.it

Chiedo scusa se parcheggio per un attimo la volata scudetto. Ho appena finito di leggere le motivazioni della condanna per Giraudo (associazione a delinquere, venti mesi in appello), e dell'assoluzione per tutti gli altri imputati (arbitri, assistenti). Non ho mai creduto a una cupola esclusiva. Quello che emerge, o penso che emerga, conforta la mia opinione. 
In buona sostanza: l'ex amministratore delegato della Juventus è un mero partecipante all'associazione, non ne è promotore (di qui lo "sconto") e si accoda a Moggi, sul quale pende ancora l'Appello del 24 maggio: e se lì cadesse l'impianto accusatorio, nessuno può escluderlo, a cosa avrebbe partecipato Giraudo? Senza entrare troppo nei meandri tecnici, mi hanno colpito tre cose:

1) Le schede svizzere. Ci è stato raccontato che erano la pistola fumante, il mezzo con cui gli associati comunicavano senza poter essere intercettati (qualcuno dovrebbe chiedere a Auricchio e Di Laroni come hanno fatto a intercettare la scheda guatemalteca di Lavitola). Oggi, viceversa, il giudice Stanziola dice che averla (arbitro Pieri) o non averla (Giraudo) risulta indifferente al fine della sua valutazione di colpevolezza o innocenza.

2) Cadute tutte le teorie dei sorteggi arbitrali truccati (la Casoria, al riguardo, è stata anche sprezzante nei confronti degli investigatori), lo scopo degli incontri carbonari e delle telefonate tra Moggi, Giraudo, Lanese, Pairetto e Bergamo (a proposito: Lanese, all'epoca presidente degli arbitri, partecipava a quegli incontri ma è stato assolto) è stato retrocesso ad accordi per la composizione fraudolenta delle griglie arbitrali. 
Già, ma quali arbitri? Quelli che hanno scelto il rito abbreviato sono stati tutti (clamorosamente) assolti e tra i restanti quattro ancora coinvolti nel filone principale (De Santis, Bertini, Racalbuto, Dattilo), per quello che affiora dalle motivazioni, relativamente alla partita Udinese-Brescia, non mi meraviglierei se la stessa sorte toccasse anche a Dattilo. 
Ne resterebbero così tre (sempre se condannati anche in Appello), il minimo sindacale, chiamiamolo così, per un'associazione a delinquere assimilabile alla mafia e alla P2 (Narducci dixit). Ma, appunto, può considerarsi tale una lobby che avrebbe inserito in maniera fraudolenta tre arbitri, su non ricordo quanti, in quattro o cinque griglie? Detto del sorteggio regolare, le probabilità di ottenere l'arbitro desiderato erano molto basse. 

3) L'associazione, spiega il giudice, centrò l'obiettivo della salvezza della Fiorentina. Ma non si era detto che "non c'erano prove dell'alterazione dell'esito di quel campionato, in favore di questo o di quel contendente" (Casoria)? Quali sono le partite aggiustate per salvare la Fiorentina? Risposta: la famigerata Lecce-Parma 3-3, per la quale è stato condannato De Santis in primo grado (anche se tra le telefonate ritrovate ce ne sono alcune che "lo assolvono"). Non solo: verso la fine, Zeman lasciò il campo per protesta contro il "disimpegno" dei suoi giocatori, come ribadì nel processo di Napoli. Gara, tra l'altro, il cui esito non era affatto garanzia della salvezza della Fiorentina e del piano criminoso. Insomma: rispetto le sentenze ma i dubbi restano.

domenica 12 agosto 2012

"Piaccia o non piaccia alla Rai, il rigore su Vucinic, scovato da Rizzoli, c’era."


http://www.beckisback.it/2012/08/11/cominciamo-bene/

COMINCIAMO BENE
di Roberto Beccantini

Cominciamo bene. Con il Napoli che «cancella» la premiazione della Juventus. Tira aria di complotto anche a Pechino. Tecnicamente, per quello che può valere il calcio d’agosto (molto poco), la partita è stata equilibrata ed è finita due a due. L’ha cambiata l’ingresso di Vucinic e firmata Mazzoleni. Il rosso a Pandev, per un vaffa all’assistente Stefani, è una botta di integralismo in un mare di smaccata tolleranza (soprattutto con gli speroni di Cannavaro e Inler, all’inizio). Le espulsioni di Zuniga (doppio giallo) e Mazzarri (proteste) appartengono alle storie tese dei romanzi diversamente olimpici. Piaccia o non piaccia alla Rai, il rigore su Vucinic, scovato da Rizzoli, c’era.

Non uno del Napoli, naturalmente, che abbia ricordato il penalty che, nella finale di Coppa Italia, venne sfilato a Marchisio, sullo zero a zero. Lungi dall’attenuare le responsabilità globali di Mazzoleni, voto 2, racconta della memoria a orologeria degli italiani. Era il battesimo dei giudici di porta: mamma mia.

E adesso? La Cina è lontana, ma non ho colto tracce di «sistema dittatoriale». Il Napoli ha giocato all’italiana, trincee fragili e contropiede ficcante. La Juventus, come le ha insegnato Conte e rinfrescato Carrera: sequestrando il territorio. I ritmi e il pressing, però, erano vaghi; e la difesa, troppo alta e larga. Il gol di Cavani conduce all’eresia zemaniana (tutti nella metà campo sbagliata); il gioiello di Pandev, a una leggerezza di Bonucci (non sarà la sola).

Bello l’esterno sinistro di Asamoah, già a suo agio. La sfida ha riassunto, a grandi linee, le tendenze dell’ultimo campionato: al Napoli, perso Lavezzi, il concetto di profondità fa aggio sull’idea di possesso-palla; nella Juventus, c’è la torta ma non ancora (o non sempre) la «ciliegina», a meno di non considerare tale il Vucinic di Pechino, inno allo stretto necessario. Calma.

martedì 22 novembre 2011

"CONTE, l'ultimo gladiatore" recensito dal CORRIERE DELLO SPORT

http://www.corrieredellosport.it/340/2011/11/21-205822/Conte,+l'ultimo+gladiatore.+Palermo,+amore+rosanero
LA BELLA RECENSIONE DEL CORRIERE DELLO SPORT


CONTE IL GLADIATORE Se la Juventus è tornata a guardare le sue avversarie dall’alto in basso e soprattutto a far vibrare di passione i suoi tifosi, parte non piccola del merito va ascritta al suo tecnico, a quell'Antonio Conte già gladiatore da giocatore («un pirata del calcio, centrocampista più di lotta che di governo»», come lo descrive Roberto Beccantini nella prefazione) e portatore sano di juventinità. Protagonista in campo in una delle squadre più vincenti degli ultimi venti anni, il ragazzo che da Lecce partì alla conquista del calcio viene raccontato (e si racconta lui stesso in una intervista esclusiva) nelle sue caratteristiche e segreti, nei tanti trionfi conquistati in maglia bianconera, nelle pagine oscure di Calciopoli e nel suo ritorno da prima pagina a Torino. In appendice, i numeri e le statistiche di Conte, poi il suo «alfabeto» (da A come amore per la maglia bianconera a Z come Zidane, una delle colonne della «sua» Juventus) e i contributi di suoi ex compagni o addetti ai lavori. 


ANTONIO CONTE, L'ULTIMO GLADIATORE; di Alvise Cagnazzo e Stefano Discreti, BradipoLibri, 134 pagine, 15 euro.


Per acquistarlo in promozione per tutti i lettori del blog
http://stefanodiscreti.blogspot.com/2011/09/conte-lultimo-gladiatore.html

mercoledì 21 luglio 2010

Marotta rimandato? No, bocciato




In questi giorni mi è stato chiesto di giudicare il mercato della Juventus attraverso un'intervista rilasciato al sito BLOGOSFERE, del gruppo IL SOLE 24 ORE.
Il mio giudizio è per il momento sospeso: rimandati a Settembre, come quando a scuola in qualche materia si faceva fatica.
Ben più duro è invece Roberto Beccantini, penna storica del giornalismo italiano, che di Juventus ne ha viste nascere tantissime negli ultimi 50 anni.
In una bella intervista rilasciato al sito Il Sussidiario ha bocciato l'operato di Marotta fino ad oggi.
Servono campioni, non comprimari per ridurre il divario dal vertice!
Infine, in merito alle dichiarazioni rilasciate da Marotta al Corriere dello Sport questa poi è la mia opinione:
Sono rimasto particolarmente colpito dalle parole rilasciate dal nuovo Direttore Generale della Juventus Giuseppe Marotta in replica al giornalista del 'Corriere dello Sport' che nel corso dell’intervista gli ha fatto notare tutta la delusione dei tifosi juventini per questa prima parte di calciomercato, con acquisti di giocatori comprimari che non hanno spostato i valori, né aumentato la qualità della squadra.
“Per cancellare certi pregiudizi, basta rivisitare la storia bianconera: l’hanno scritta campioni scovati in piccoli club e diventati grandi a Torino. Anastasi e Gentile s’erano messi in luce nel Varese, Prandelli e Cabrini tra Cremonese e Atalanta, Conte era cresciuto nel Lecce, Ravanelli aveva stupito alla Reggiana:vogliamo rinverdire quella tradizione”.
Caro
Marotta, se mi permette, le voglio dare un consiglio: lasci perdere il passato. Lasci perdere paragoni con le vecchie Juventus targate Boniperti o Triade. Perché è anche vero che ogni anno Boniperti e Moggiandavano a scovare in provincia nuovi talenti da inserire nel gruppo, ma forse (volutamente?) dimentica che quelle Juventus erano piene zeppe di campioni che permettevano la lenta maturazione dei giovani e l’integrazione dei nuovi arrivati.
A questa
Juve manca proprio la base su cui costruire. Mancano i campioni da cui ripartire.
In merito poi all'addio di Mughini a Controcampo ho rilasciato una dichiarazione a Tuttojuve.
Nessuna censura o cacciata, semplicemente una scelta personale.
Da rispettare.

sabato 13 febbraio 2010

Dramma ai giochi...



Dramma alle Olimpiadi di Vancouver: muore un giovane atleta.
Il video è davvero impressionante....
R.I.P.
Preferisco non parlare di calcio. Riporto semplicemente l'ennesima perla giornalistica di Roberto Beccantini.
tratto da lastampa.it
Immagino le ghignate di Luciano Moggi e della combriccola lodigiana dopo la richiesta di patteggiamento avanzata da José Mourinho ed Ernesto Paolillo per gli incendiari sermoni post derby (da «Hanno fatto di tutto per non farci vincere» a «C’è una volontà non leale di riaprire il campionato»). Do you remember Oriali? Ramo passaporti, patteggiò anche lui. Un vizio di famiglia. E immagino pure la ispida reazione alla originale pensata dei presidenti: qui ci vuole il sorteggio integrale. Ma come: il calcio, digerita Calciopoli, non si era dimesso da «cosa nostra» per diventare «cosa seria»? Non avevano garantito, Abete and friends, che gli errori ci sarebbero sempre stati ma, appunto, avremmo dovuto considerarli errori e basta, senza moggiologie inquietanti o meanate inquinanti? «Venghino venghino».
Al ritorno in serie A, la Juventus scrisse addirittura a Collina per censurare i trilli di Dondarini a Reggio Calabria. Nella stagione 2007-2008, la Roma denunciò gli aiutini di stato elargiti alla casta Diva. Da tempo, Aurelio De Laurentiis ha adottato la politica del tergicristallo: quando il Napoli vince, Calciopoli non esiste più; quando perde, Calciopoli esisterà sempre. Da Palermo, Maurizio Zamparini minaccia un Everest di dossier. Come, a turno, quasi tutti i boss del pallone, tranne, curiosamente, i primi in classifica (Paolillo dixit). Corre voce che persino il Milan non sia più contento di Collina, in barba a una forbice - sette rigori a favore, uno contro - non proprio da perseguitati. Fuor di metafora, i presidenti di serie A non si fidano nemmeno della loro ombra, e allora: a tentazioni estreme, estremi tentativi. I voti agli arbitri e il sorteggio integrale. Maurizio Beretta, che della Lega è il capo teorico e il microfono materiale, non ci vede nulla di scandaloso. In effetti, la faccenda è ridicola, non scandalosa.
Fa morire dal ridere il pensiero che questa classe di dirigenti senza classe tema di essere pugnalata alle spalle dai propri simili, salvo poi beatificare Moggi da squalificato dopo averlo squalificato da «libero» (Zamparini) o volare a Napoli per raccontare la lontana eco di frasi annusate (Cellino). Se il designatore rimane il peggiore dei regimi, esclusi tutti gli altri (come diceva Churchill della democrazia), il sorteggio, specialmente se integrale, è la terapia che, lungi dal guarire il male (i sospetti, la sudditanza psicologica, eccetera), uccide la cultura degli arbitri. Fra parentesi, non è manco una novità. Era il metodo in vigore ai tempi di Calciopoli: pilotato, però. Molto pilotato. C’era già stato anche in precedenza. Soprattutto, nella stagione in cui lo scudetto lo vinse il Verona: 1984-‘85. Integrale? Col cavolo: guidato pure quello. Non è la prima volta che la Lega allunga le mani sugli arbitri. I quali devono rispondere, esclusivamente, alla loro Associazione e alla Federazione. Ecco: ci vorrebbe un presidente forte, non Giancarlo Abete.
Gli ultrà sequestrano gli stadi e addirittura i campi d’allenamento, e cosa s’inventa Abete? Il rosso per bestemmia. Non solo: la prova tv contro i labiali blasfemi. «In dubio pro deo»: ci mancherebbe. Mettetevi nei panni del giudice sportivo Gianpaolo Tosel: gli arriveranno chili di filmati dai quali dovrà estrarre, nel perenne e italianissimo conflitto tra peccato e reato, il fatidico moccolo, il blasfemo rimando. Per carità, bestemmiare è un atto così riprovevole e disgustoso che già il regolamento contempla congrue sanzioni: fu proprio da una punizione «per bestemmia» che, nel 1975, la Juventus ricavò a Como il gol di un generoso due a due. C’è, però, un limite a tutto. Si mormora che persino il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di stato del Vaticano e juventino fino al midollo, si sia rivolto in modo brusco al Padreterno durante le «bestemmie» pedatorie della sua Juve a Livorno (o col Catania, o a Verona). Non invidio Tosel e non invidio gli zii. Ero fermo allo zio d’America e allo zio Bergomi. D’ora in poi ne salteranno fuori di così laidi (porco zio e zio maiale) che diventerà un esercizio delirante cogliere la sottile ma epocale differenza.
Per il made in Italy, si tratta dell’ennesimo colpo sotto la cintura: meglio arruolare giocatori stranieri abituati, almeno in campo, a lasciare Dio alle sue incombenze, che a volte coincidono con un autogol all’ultimo minuto, a volte no. Povero Trap, in bilico precario fra damigiane di acqua benedetta e porchi zii mai così sotto tiro. E poveri arbitri: già non riuscivano a cogliere i buuuu razzisti, figuriamoci il filo sottile che separa una d da una zeta, con il (solito) rischio di essere schiacciati dall’esame moviola. Esame al quale, tanto per restare in tema, non venne sottoposto nemmeno Contini quando, in Juventus-Napoli di Coppa Italia, passeggiò sopra la schiena di Del Piero. Proposta: perché non sorteggiare i dirigenti?

lunedì 14 dicembre 2009

Grazie Conte




Purtroppo per Camoranesi si prospetta un lungo stop....
Intanto persino Lapo si permette di criticare la Juve definendola "raccappricciante"!!
E Tuttosport parla di Juve da Rifondare...
E' lo stesso giornale che tre mesi fa esaltava Ferrara ed i suoi metodi di allenamento, elogiando il "grande" mercato estivo bianconero e la gestione dirigenziale.......
Il peso della Champions
di Roberto Beccantini
Calcio, mistero senza fine bello. Sempre sia lodato Gianni Brera, il più grande di tutti. Inter e Milan avrebbero potuto schiacciare la Juventus, sconfitta a Bari, sotto il tacco di distacchi «importanti»: meno otto, meno quattro. Contrordine. L’Inter prima dormicchia e poi, in dieci, si fa rimontare a Bergamo. Il Milan cede di brutto in casa, crivellato dal Palermo. Morale: fra Mourinho e Leonardo, l’arrancante Ferrara perde un solo punto (da Mourinho).
Non si può non parlare di un vero e proprio «piano Marshall», tanto fortuito quanto prezioso, a favore di una Juventus allo sbando.
Un anno fa, la Juventus e Ranieri accusavano lo stesso ritardo: sei lunghezze. In generale, era più veloce l’andatura: Inter 39, Juventus 33.
Dettagli, come canta Ornella Vanoni. Delle prime quattro, vince solo il fiammeggiante Parma di Guidolin, una matricola che continua a demolire diffidenze e indifferenze, sempre più quarta e sempre più vicina alla Juventus. La Champions pesa. L’Inter ha pareggiato, Fiorentina, Juventus e Milan hanno perso; per Prandelli è già la sesta sconfitta, a conferma di quanto sia arduo tenere botta su entrambi i fronti senza un organico all’altezza.
Si gioca complessivamente male. Non che l’Inter, a Bergamo, abbia dato spettacolo, tutt’altro, ma di sicuro è l’espulsione di Sneijder a tracciare il confine: somma di ammonizioni, discutibile la prima, non la seconda; e non proprio calibrata, la «bussola» di Rizzoli. Conte e Mourinho, squalificati, si marcano in tribuna.L’Atalanta aveva già bloccato il Milan quando Leonardo brancolava ancora nel dubio. Il tridente più Sneijder produce rare bollicine. Gli avversari aspettano al varco i campioni, e si regolano di conseguenza. Tiribocchi ha il gol nel sangue. Non chiede la luna, gli bastano scaltre munizioni. L’Inter era reduce dal k.o. con la Juve e dal riscatto con il Rubin. È la squadra più forte, in Italia, e ogni tanto rallenta. Ne ha facoltà.Veniva da cinque vittorie, il Milan. Abate al posto di Pato non è proprio la stessa cosa, e comunque Delio Rossi s’inventa un Palermo micidiale nelle ripartenze; lo scarto non gli rende onore sino in fondo. Se il Milan trasforma tutte le partite in lotterie, chiaro che presto o tardi ci possa scappare il patatrac, già sfiorato con il Cagliari. Con il 4-2-3-1 Leonardo ha bruciato le tappe, ma non lo ordina il medico - e nemmeno Galliani - di giocare sempre così. L’equilibrio può essere un’opinione solo se la fantasia maschera i limiti e le spaccature fra i reparti. Il ritorno sulla terra agevolerà la riapertura del laboratorio.È il campionato del Parma, squadra verticale se ce n’è una, e del Chievo, capace di rimontare e stecchire la Fiorentina «ubriaca» di Liverpool. È un campionato più di lotta che di governo. Grigio, fisico, in mano ai nervi di Mourinho.
E' la Juve dei record... negativi
di Mirko Nicolino per Juvemania.it
E’ la Juve dei record!
Sì, ma quelli negativi. 4 partite perse negli ultimi 5 impegni, 7 gol subiti in 2 partite e sconfitta al San Nicola di Bari dopo 20 anni! Eppure la Juve a Bari c’era. Certo, non c’era il gioco, come non c’è mai stato da inizio stagione ad oggi e come probabilmente non ci sarà fino a Maggio, ma si è visto tanto impegno e forza di nervi. Non è bastato, purtroppo, perché al cospetto della Juventus c’era un Bari che pur con alcune importanti assenze, ha fatto dell’organizzazione di gioco il punto di forza.
Ha fatto persino una grande figura Almiron! Si potrebbe racchiudere nella prestazione dell’argentino il limite tecnico/tattico che purtroppo attanaglia la Juventus, con un centrocampo lento, prevedibile e senza idee.
A differenza delle ultime uscite, comunque i ragazzi sono riusciti a collezionare un bel po’ di azioni gol, ma sfortuna e poca lucidità hanno impedito di metterle a segno. I gol subiti, invece sono frutto di episodi, nei quali comunque i nostri ci hanno messo del loro. Non c’è equilibrio, purtroppo, lo avevamo visto anche nei primi match durante i quali si erano portati a casa i tre punti: sempre tanta sofferenza e il rischio del tracollo da un momento all’altro. A questo punto credo non ci sia motivo di prendersela coi singoli, poiché quali che siano gli interpreti il gioco bianconero non cambia. Non si può però non dare una nota di merito a Poulsen da settimane indiscutibilmente il migliore dei ragazzi: ci mette tanto impegno e recupera un’infinità di palloni; si fa preferire di gran lunga a Melo.
Per quanto riguarda Diego, nulla da dire sul rigore: ho visto in 3 decadi grandi campioni sbagliare tiri dagli 11 metri fondamentali, figuriamoci se sia il caso di prendersela per un rigore sbagliato da un buon giocatore (ma non un campione) sul quale le prime e casuali uscite avevano fatto riporre tutte le speranze per la nuova stagione.
Ah dimenticavo… Vedere Secco parlare all’orecchio di Maddaloni prima delle sostituzioni ha fatto davvero uno strano effetto....

giovedì 19 novembre 2009

Mondial-Furto





Povero Trap, perso il mondiale per un furto!
Il goal che qualifica la Francia è viziato da un clamoroso fallo di mano di Henry.
E' davvero un peccato che il lavoro di anni sia vanificato da un episodio del genere.
Tra gli altri spareggi mi ha particolarmente colpito l'eliminazione della Russia:
per una volta a Mago Hiddink non è riuscito il miracolo!
Intanto l'Italia grazie ad un goal di Giorgione Chiellini batte la Svezia orfana di Ibrahimovic.
Adesso sotto con il campionato.
Come detto da Buffon si pensi intanto a fare 6 punti prima della sfida con l'Inter.
E basta poi con questi proclami sulla terza Stella.
Perchè se si continua così ci vorranno anni prima di porsi il problema.....
Fatti, non parole.
IL PUNTO DI ROBERTO BECCANTINI
Questa volta non hanno avuto il coraggio di inventarsi una moviola di scorta come a Berlino, dopo la testata di Zidane a Materazzi, o come nella Confederations Cup, agli sgoccioli di Brasile-Egitto. Avrebbe evitato una profonda ingiustizia. Di mezzo, c’erano la Francia, ancora lei, e l’Irlanda di Giovanni Trapattoni. Nessuno se l’è sentita di correggere la svista della terna svedese: prima che nei supplementari Gallas segnasse, pareggiasse ed eliminasse, così, i più meritevoli, Henry aveva giocato a pallamano (o a pallavolo, fate voi). Un risultato che già faceva a pugni con l’intreccio, figuriamoci, dunque, con l’epilogo. Da un contatto fra Given e Anelka, un arbitro servile avrebbe potuto spremere un rigore: il palleggio di mano deve essergli proprio sfuggito.Gli spareggi, molto equilibrati, hanno diffuso brividi e ghigliottinato un peso massimo: la Russia di Hiddink. Francia e Portogallo hanno sofferto, hanno rischiato, hanno resistito (e il Portogallo vinto, addirittura). Se rivoluzione è troppo, scossa è poco. Penso all’impresa della piccola Slovenia. E, naturalmente, allo scandalo di St. Denis. Con i giudici di porta, cari al francese Platini, Trapattoni, che fu maestro di Michel, e Domenech se la sarebbero giocata ai rigori. I vice campioni del Mondo dovranno accendere una candela al dio degli episodi. Spiace per il Trap, transitato da un Moreno pilotato a un Hansson improvvisamente nebbioso. La Francia, boriosa e sterile, ha sfiorato il suicidio che, sempre in casa, aveva «brillantemente» centrato alla vigilia dei Mondiali americani del 1994. Quando può scegliere, Trap tentenna: vedi Dublino. Quando non può, è tutta un’altra musica: vedi Parigi; se consideriamo le occasioni nude e crude, il 2-0 avrebbe fotografato meglio la trama. Domenech era, e rimane, il brutto anatroccolo di una fiaba che non può più contare sulle magìe di Platini e Zidane. Da oggi, fuoco alle polveri. Si parlerà solo della mano che Henry ha dato al suo capo.

giovedì 15 ottobre 2009

Lippi, il popolo è sovrano



Caro Marcello troppe capriole
di Roberto Beccantini
lastampa.it
Da Cipro a Cipro, Lippi ha spento le luci con un pugno sull’interruttore. Dai lazzi più taglienti agli applausi più schietti: tutto fa brodo. Chi ha buona memoria, ricorda come andò a Larnaca: i glutei del ct ispirarono Buffon e Di Natale. Se con i titolari rischiammo l’osso del collo, perché mai le riserve avrebbero dovuto vincere di goleada? Lippi è furibondo con il loggione che urlava Andate a lavorare e Cassano Cassano. Ha risposto Vergogna, aggiungendo: vadano loro, a lavorare. Un «invito» da cartellino rosso. Marcello dovrebbe conoscere l’aria che tira nel Paese. Non si tratta di demagogia, ma di senso della misura, e delle parole. E poi, Totti «un bel tormentone» l’ha inventato lui, non la curva, devota a Cassano. Uno a uno.Il problema è a monte, risale al Mundial spagnolo e a quella sindrome d’accerchiamento che, dalla pipa di Bearzot al sigaro di Lippi, ha stimolato e condizionato tutti i commissari. Capisco le montagne russe di Parma: ma capisco anche coloro che, al netto di ogni attenuante, continuano a sforzarsi di non prendere per oro colato il campionato. Di sicuro, la partita è stata preparata fra troppe capriole. Di sicuro, la missione compiuta e il varo dell’Italia alternativa hanno annacquato orgoglio e stimoli. Non a caso, il risultato è stato recuperato dai titolari: chi c’era (Gilardino) e chi è entrato (Camoranesi, soprattutto). Tempi duri. Non possiamo contare su nessun lampadario come Cristiano Ronaldo. E dalla gioventù bruciacchiata di Francesco Rocca (Mondiali under 20, fuori nei quarti) e Pierluigi Casiraghi (Europei under 21, futuro ad alto rischio) non arrivano notizie incoraggianti. Anzi. Marchisio, Criscito, Santon e Bocchetti riassumono i confini sino ai quali il ct si è spinto: e se non è andato oltre, non penso che c’entri la pigrizia.Senza credere di avere lasciato dei Picasso in cantina, immagino il ghigno di Lippi, al quale si rimproverava di far giocare sempre i «soliti»: visti gli «insoliti»?
.
Da quando seguo il calcio ho sempre pensato una cosa:
il pubblico paga il biglietto e nei limiti del rispetto del prossimo è sovrano di fare quello che vuole.
Appaludire, fischiare, invocare.
Quindi, stavolta Lippi ha sbagliato.
Anche perchè poi quell'invito "andate a lavorare voi" rilanciato a chi guadagna forse 1/1000 di quello che guadagnano gli eroi del calcio fa davvero sorridere.
L'Italia grazie ad un grande Gilardino (speriamo abbia esaurito ieri la sua vena realizzativa) rimonta Cipro e vince per 3 a 2.
Poche sorprese nel mercoledì delle Nazionali.
Alla fine ce la fa anche l'Argentina di Maradona che segna e vince in Uruguay per 1 a 0, subito dopo l'ingenua espulsione di Caceres.
Intanto, alla Juve resosi conto che mancano esterni (noi lo diciamo da mesi, forse anni....), continuano a rifioccare nomi di laterali. Ieri Mesto, oggi ritocca a Rafinha.

giovedì 8 ottobre 2009

Ibra, Moratti e Cobolli


Il punto di Roberto Beccantini
Far credere, o fingere di credere, che la sostituzione del presidente Giovanni Cobolli Gigli rappresenti una svolta epocale nella storia della Juventus, rimanda a Jorge Luis Borges e alla baruffa dei due calvi per un pettine. Dai tempi di Boniperti (escluso, naturalmente), la carica di presidente della Juventus è sempre stata formale, prova ne siano l’avvocato Chiusano e Franzo Grande Stevens. Nessun dubbio che Cobolli Gigli sia un galantuomo: quando lo feci partecipe del derby contro la Sla, aderì in due secondi. Nessun dubbio che abbia raccolto il testimone in giorni, settimane e mesi molto cupi: i giorni, le settimane e i mesi di Calciopoli. È stato il megafono dell’operazione smile. Ma sia chiaro: l’onore di essere presidente della Juventus, una delle prime società al mondo, supera qualsiasi onere, sconfigge qualunque tempesta.

Il problema di Cobolli Gigli è un non problema. Sarebbe potuto restare lì a vita. Non piaceva ai tifosi, e i nuovi reggenti - quando vogliono - sanno captare, e lisciare, le fregole della piazza. Dejan Stankovic venne sacrificato sul pulpito del risentimento popolare. Claudio Ranieri, idem. La gente aveva un debole per Ciro Ferrara? Eccolo. Ultimo «frazionista», Cobolli Gigli. Ho letto valutazioni legate alla buona tavola e al buon vino (!). Carlo Verdelli, direttore della Gazzetta dello Sport, ha riesumato il titolo della vecchia rubrìca di Candido Cannavò: «Fateci capire». Semplicissimo: il problema non è il presidente (che non conta anche quando sembra un conte), il problema è la competenza tecnica della società. Sogno un «presidente» che sbagli i congiuntivi e detesti la buona tavola ma magari, all’ultimo momento, prima di buttarsi su un laido hot dog, urli dal tavolo imbrattato di senape: ehi, ragazzi, prendete pure Andrade ma visto il ginocchio che si ritrova, perché non ci cauteliamo con una bella clausoletta? Obiezione: questo non era compito del presidente. Avrebbero dovuto pensarci il direttore generale o il direttore sportivo. Verissimo. Purtroppo.

John Elkann si è innamorato di Jean-Claude Blanc così come l’avvocato Agnelli si era invaghito di Michel Platini. Presidente, amministratore delegato, direttore generale: non male, come regalo di nozze. L’area tecnica rimane affidata ad Alessio Secco. Manca un dirigente che sappia di calcio e, per questo, possa dare una mano al giovane Alessio e all’apprendista Ciro, dal momento che nessuno nasce imparato. Il referente che avrebbe aiutato Ranieri a gestire meglio la crisi primaverile della stagione scorsa: manca un tipo così, e la proprietà agita lo scalpo di Cobolli Gigli. Complimenti. Si continua a parlare di Giuseppe Marotta, e di Marcello Lippi: oggi in maschera, dopo i Mondiali senza.

La composizione del Consiglio d’Amministrazione è un altro non problema. Serve, urgentemente, competenza tecnica fra il vertice e la squadra. Lì è il vuoto, lì è il ritardo dall’Inter. Non si pretende la luna, ma un manager che, non appena Corvino fissa il prezzo rescissorio di Felipe Melo, attenda almeno un minuto, dicasi uno, e ci pensi su, prima di precipitarsi a Firenze con 23 milioni di euro e Marchionni al guinzaglio. L’onnipotenza riconosciuta a Blanc lascia perplessi. Blanc viene dallo sci e dal tennis, Montali, fresco di uscita, dal volley: d’accordo, siamo in Italia, il più anomalo dei Paesi anomali, ma è chiedere troppo uno specialista di calcio all’interno di una società di calcio?

Secondo Tuttosport, Massimo Moratti avrebbe telefonato a Cobolli Gigli per dirgli: «Se lei non avesse lavorato per la Juventus, l'avrei voluta all'Inter per lo stile e la correttezza con la quale si comporta nelle sedi istituzionali e non». Strano: anche Zlatan Ibrahimovic e Patrick Vieira avevano lavorato per la Juventus, eppure...

domenica 13 settembre 2009

Tris Juve


L'avevo pronosticato:vincere di nuovo all'Olimpico sarebbe stato molto più duro contro la Lazio, seppur priva di Zarate.
Dallo stadio, ieri sera, ho visto una Juventus stranamente spenta per circa 1 ora.
Una Lazio che nel primo tempo avrebbe meritato sicuramente di più, indipendentemente dalla validità o meno del goal annullato a Mauri.
Diego in difficoltà sin dai primi minuti. Si vedeva che non stava bene.
Ancora una volta grandissima partita di Felipe Melo, davvero un bunker piazzato davanti la difesa. Un vero leader.
Più che sufficiente la prima di Grosso, sopratutto nel secondo tempo.
Caceres invece per un tempo è stato in completa balia di un mostruoso Kolarov prima di diventare però decisivo con il goal che ha cambiato la gara.
Segno che quest'anno sembra davvero nato sotto una buona stella per i colori bianconeri.
Basti pensare anche all'esordio con goal per Trezeguet, fino a quel momento praticamente spettatore pagante.
La sensazione è sempre la stessa: se Diego non sta al meglio, la Juventus fatica a fare gioco sopratutto se poi le alternative dotate di tecnica come Camoranesi vanno a corrente alternata.
La squadra comunque è compatta e motivata. Davvero difficile da scardinare.
Però in futuro, sopratutto con il ritorno di Del Piero e Sissoko e l'ambientamento di Grosso e Caceres è lecito aspettarsi qualcosa di più sotto il profilo del gioco.
Non commento gli episodi arbitrali di ieri sera, anche se dallo stadio si è avuta la spiacevole sensazione di un arbitro davvero scarso che soffre la sudditanza (ricordate anche Inter-Parma di 2 anni fa?)
Di certo, come sempre in passato, al primo episodio presunto o tale a favore della Juventus si torna a parlare di scandalo come fa il Corriere dello Sport oggi.
Nel pomeriggio un Milan abulico conferma di non essersi ripreso dalla scoppola del derby.
Il punto di Roberto Beccantini
D’accordo, è sempre complicato districarsi fra le orme lasciate dalle Nazionali e l’odorino di Champions che arriva dalla cucina, ma affrontare la Lazio priva di Zarate e Rocchi - questo Zarate, soprattutto, e questo Rocchi - era un’occasione fuori del comune.
Da ItalJuve a Juventus il passo è stato brusco e dolce. Senza Del Piero, si sapeva. Senza Diego dal 40’, si è saputo. Eppure, Lazio zero Juventus due. Troppa grazia. Per Ciro Ferrara, quinto successo consecutivo. Per la squadra, nove punti su nove. La Lazio aveva soffiato la Supercoppa all’Inter. I paragoni fioccheranno. Complimenti a Ballardini e ai suoi prodi. Avrebbero meritato di più.
Un fischio preventivo di Gervasoni ha cancellato un gol di Mauri in mischia: dall’autopsia dell’azione emergono un fuorigioco di Diakité, passivo per i codici postmoderni, e un’ancatina di Cruz a Legrottaglie. A occhio nudo, era sembrato tutto confusamente regolare.
Barcollava e penava la Juventus, nonostante lo champagne di Giovinco. E Caceres era stato, fin lì, uno dei meno lucidi. Il gol dell’uruguagio e la carambola di Trezeguet, preferito a Iaquinta, premiano il turnover di Ferrara.
In attesa di Inter-Parma, la Juve lancia il suo guanto: è solida, ha più frecce nell’arco che in passato, e gli schiaffoni inflitti alla Roma con Diego protagonista e alla Lazio con Diego sostituito, riassumono e confermano la volontà di vincere comunque.
Leonardo sta studiando da allenatore del Milan. Lo 0-0 di Livorno non sarà il fondo del barile raschiato nel derby, ma resta un bicchiere mezzo vuoto. Huntelaar ha bisogno di tempo, Ronaldinho invece il tempo lo spreca. Il pressing fiammeggiante degli avversari crea scompensi non lievi: che partita, Candreva. Si scuote, il Milan, con l’ingresso di Pirlo, ma ormai è tardi. Con l’Inter, il Milan si era annesso i venti minuti iniziali. A Livorno, nemmeno quelli. Rotola dietro gli episodi, potrebbe subìre, potrebbe segnare, è la metà di un qualcosa che sfugge.

domenica 30 agosto 2009

Mamma che Diego





La Juventus risponde all'Inter.
Espugnato l'Olimpico giallorosso grazie ad una prestazione mostruosa di Diego.
Poco da aggiungere, il ragazzo ha tutti i mezzi per diventare un grandissimo.
Il 75% delle azioni offensive juventine passano dai suoi piedi.
Davvero stupefacente poi la sua rapidità di inserimento nel calcio italiano.
Vero che davanti c'era una Roma allo sbando, ostaggio di uno statuario Totti e di una presidenza che non ha più un euro da investire sul mercato.
Ma le sue giocate sono comunque di valore assoluto.
Ottima anche la prestazione di Felipe Melo, un gladiatore nella città del Colosseo.
Da rivedere la gestione della partita sopratutto nella fase centrale del match oltre che la cronica assenza di cross giocabili dalle fasce.
In vetta alla classifica accompagnano la Juventus a punteggio pieno la Lazio guidata da uno strepitoso Zarate (che alla ripresa del campionato sfiderà proprio Diego & C) ed entrambe le squadre di Genova, trascinate rispettivamente da Gasperini e Cassano.
Il campionato va ora in letargo per 15 giorni per lasciare spazio alla Nazionale.
Quando arriverà il terzo turno di campionato il calcio d'Agosto sarà stato definitivamente abbandonato e gli ombrelloni saranno ormai riposti....
IL PUNTO DI ROBERTO BECCANTINI
La differenza è Diego. Per ora, dentro la Juventus. In futuro, chissà.
Al 4-0 dell’Inter nel derby, la squadra di Ferrara ha risposto alzando la voce a Roma. Un lavoro ben fatto, non un’impresa. Doppietta di Diego, volatona di Felipe Melo: i gol, tutti brasiliani, sono il simbolo del mercato e lo specchio di una partita che, complice il pisolo di mezza caserma sul pareggio di De Rossi, i bianconeri hanno dominato quando aggredivano il risultato e sofferto quando avrebbero dovuto gestirlo. Olimpico, terra di conquista: la scorsa stagione, finì addirittura 4-1. Fu l’ultimo squillo di Ranieri. Poi venne la sosta (Ciro si tocchi) e la Signorina si sciolse. L’Inter rimane più forte, nessun dubbio su questo, ma anche la Juve sembra più forte. Diego mattatore, Del Piero spettatore: un segno dei tempi. Il capitano tornerà utile, come no, ma oggi Amauri e Iaquinta sono insostituibili. Felipe Melo non vale 25 milioni di euro e si lascia spesso borseggiare al limite dell’area; detto ciò, la percussione dalla quale ha ricavato la rete del 3-1 giustifica applausi fitti e sinceri.Diego, dunque. Si nasconde fra le linee e morde non appena il turista di turno vuole fare il fenomeno. L’esterno destro con cui ha aperto le danze è violino puro. Un brasiliano che ha studiato in Europa, la palestra ideale per allenare il talento e sottrarlo ai bikini delle spiagge di Rio. In quel ruolo, Mourinho voleva Deco e ha adottato Sneijder. Il Milan aveva Kakà e avrebbe potuto avere Gourcuff: Ronaldinho, che è stato molto, sembra avviato verso un compromesso assai poco storico, grande con i piccoli, piccolo con i grandi. In generale, i numeri dieci, o trequartisti per dirla con il lessico della Nasa pallonara, sono tornati di moda. Meglio così.Rocchi ha accompagnato l’ordalia senza sabotarne la polpa. Si sapeva che non era tranquilla, la Roma; inoltre, non aver risparmiato a Totti e ad altri titolari nemmeno una virgola della vendemmia con il Kosice puzzava di crassa demagogia. Se Leonardo, a San Siro, ha pagato i cambi, Spalletti ha sbagliato approccio. Zero punti: la fissa dei tre gol comincia a diventare un incubo e non più un banale capriccio. C’era, fra i pali, il terzo portiere, Julio Sergio: è stato uno dei migliori. Totti? Un paio di lampi e fine della trasmissione. Il mercato chiude oggi: ignoro i margini di manovra, ma nella struttura difensiva manca qualcuno, manca qualcosa.Sei punti su sei, la Juventus: come Genoa, Lazio e Sampdoria. Più due sull’Inter, più tre sul Milan. A sbirciare le classifiche d’agosto, si rischia di cadere nel ridicolo. Per fare un prova, non bastano due indizi, ne servono almeno tre. Ranieri non aveva lasciato macerie, Ferrara ci sta mettendo la malizia e il buon senso del reduce che ne ha viste troppe per darsi delle arie. Palla a Diego e un cero alla Madonna dei terzini: che li illumini.

mercoledì 15 luglio 2009

"Sarà duello Juve-Inter"



Oggi voglio riportare qui di seguito:
-un interessante articolo inviatomi da Mirko Nicolino per Juvemania.it che condivido quasi totalmente, tranne che nel dare l'assenso per la cessione di Trezeguet.
Per me David se sta bene è sempre l'attaccante titolare.
- la bella poesia inviatami dal brillante Giacomo Scutiero in cui manifesta tutta la sua gioia di tifoso per l'acquisto di Felipe Melo
- la telefonata-articolo di Roberto Beccantini al Procuratore Federale Palazzi per far capire, a chi ne avesse ancora bisogno, che farsa è stata ed è tutt'ora Calciopoli.
Mi astengo infine dal commentare la sentenza al processo Sandri per manifesta incapacità di accettare una giustizia ingiusta.
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C’è grande entusiasmo attorno alla nuova Juventus, tanto da portare il direttore di Tuttosport a dire senza mezze misure nel suo blog, che in 6 settimane “tutto è cambiato”. 10mila tifosi che assistono agli allenamenti non si vedono tutti i giorni. Si respira una nuova (davvero?) aria attorno alla Juve 2009/2010: la Juve di Diego, di Felipe Melo, di Ciro Ferrara e Fabio Cannavaro (attorno a cui circolano da alcuni giorni strane news - non posso dire altro), la Juve dell’intramontabile capitano Del Piero, del figliol prodigo Pavel Nedved, dell’ormai osannato Secco. Lungi da me qualsiasi tentativo di smorzare gli entusiasmi, anzi, anche io aspetto con trepidazione di vedere in campo (nazionale e internazionale) la nostra nuova corazzata, non posso dimenticare che questa è anche la Juve di Almiron, di Poulsen, di Cobolli Gigli e dell’ormai separato in casa Trezeguet. Non possiamo dimenticare, infatti, che le (giustificabili) ingenti (non voglio definirle folli) spese sono il frutto di 3 anni di mercato quasi sciagurato, se si eccettuano gli acquisti di Iaquinta, Amauri e Sissoko. Quest’anno siamo forti, è vero, ma al di là di ogni dietrologia, mi sembra che il lavoro non sia finito. Anzi, penso siamo poco più che a metà dell’opera: quello che mi aspetto nei prossimi giorni, infatti, è che si trovi una casa allo strapagato Poulsen, ad Almiron e che si chiarisca una volta per tutte l’equivoco Trezeguet. “Cercheremo di venderlo” ha detto a più riprese Cobolli Gigli; “È molto importante, se rimane non posso che essere contento” ha risposto ieri Ciro Ferrara. Ebbene, fermo restando che si tratta di un’operazione in uscita che io farei, credo proprio che con David i nostri dirigenti si stiano dimostrando piccoli piccoli. David ha sempre lottato per la squadra e non riesco a fargliene una colpa se a 32 anni di età guadagna 4,7 milioni di euro all’anno. Non ha mercato, e mi sembra anche logico; non accetta diminuzioni dell’ingaggio, e mi sembra altrettanto logico. Rimarrà quasi sicuramente da noi, farà tanta panchina magari, ma potrà sempre e comunque uscire dal campo a testa alta. Non sarà di certo lui a pagare per gli errori di questo triennio, per il “la B ci sembra una pena congrua”, per il camaleonte solido o per “avevo paura di Pieri”. Il mercato non è finito, il campionato non è iniziato. C’è tempo per rimediare e di certo ciò che non manca a questa società è la dedizione alla causa e l’impegno: non vedo però quel pizzico di cattiveria e scaltrezza che ci mancano per essere al top. A proposito: ci servirebbero anche due terzini.
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Tante settimane alle calcagna di D’Agostino,
poi il toc toc per il centrocampista fiorentino.
Un affare chiama l’altro, il primo era già vero:
Marchionni sarà viola, non più un bianconero.
La transazione cela il gran colpo con un velo,
come pensarla distinta dall’appeal per Melo?
Venticinque milioni la clausola rescissoria,
John Elkann non poteva stimarla irrisoria.
Si era già abdicato sul palermitano di Udine,
ma Felipe è superiore, può essere un cardine.
Tante monete per un “european top midfieldier”:
un mattone fermo per scorgere più vicino l’Inter.
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Perché, l’11 aprile 2008, il procuratore federale Stefano Palazzi deferì alla Disciplinare il direttore sportivo della Juventus, Alessio Secco, e l'ex vicepresidente del club bianconero, Roberto Bettega, «per aver partecipato alla trattativa di mercato relativa al calciatore Criscito con il signor Enrico Prezioni, soggetto inibito in via definiva dalla giustizia sportiva», e perché non ha usato lo stesso metro con Massimo Moratti per le operazioni Thiago Motta e Milito, entrambe portate a termine sempre con il padrone-presidente del Genoa, «il signor Enrico Preziosi inibito in via definitiva dalla giustizia sportiva»? Aperta parentesi: la Disciplinare inflisse poi un mese di sospensione sia a Secco che a Bettega. Perché il procuratore federale Stefano Palazzi vuole vederci chiaro sui contatti tra Francesca Menarini, presidente del Bologna, e lo squalificato Luciano Moggi mentre sul fronte Moratti-Preziosi si accontenta di quello che ha «visto» attraverso i giornali? Due pesi e due misure? Ieri, martedì 14 luglio, ho telefonato a Stefano Palazzi e gliel’ho chiesto.«Dottore - mi ha risposto - comprendo l’esigenza di dover far fronte alla curiosità dei lettori. Nello stesso tempo, mi permetto di osservare che anche notizie apparentemente simili vanno vagliate in profondità perché, lei capirà, non tutto quello che è, sembra; e non tutto quello che sembra, è. Mi scuso, dunque, se non posso proseguire in quel processo deduttivo e intellettivo che, immagino, lei vorrebbe che portassi a termine. Lei mi capisce, vero... ?».Per la verità, non ho capito un tubo. Avrebbe potuto dirmi che gli articoli o i filmati non bastano per smascherare accordi fra dirigenti in regola e altri no, servono prove più concrete: incontri «pubblici» in luoghi istituzionali, firme «proibite» in calce ai contratti, eccetera eccetera. Nulla. Solo fumo. Il problema sollevato era e rimane un topolino, ma proprio perché è un topolino la risposta spaventa. Spaventa perché dicono che Palazzi abbia cambiato il palazzo e non che il palazzo abbia cambiato Palazzi.

giovedì 9 luglio 2009

Juve alla pari con l'Inter?



Riporto il punto odierno di Roberto Beccantini su Lastampa.it che riprende in parte anche i temi trattati ieri nel mio editoriale.
Come mi aveva anche anticipato personalmente, Beccantini preferisce confrontare il prezzo di Felipe Melo a quello che sarebbe potuto esser di Xabi Alonso un anno fa piuttosto che a quello incassato per Ibrahimovic, 3 estati fa. Opinione condivisibile anche questa.
Quello che condivido meno è la preferenza per la scelta di D'Agostino.
Sposo in pieno invece il concetto finale:
se l'Inter non cede Ibrahimovic sarà ancora la più forte.
L’operazione Felipe Melo, sempre che vada in porto, rientra nella tradizione muscolare della Juventus. Chi scrive, avrebbe preferito la regìa di D’Agostino. Felipe Melo è un mediano, brasiliano di culla ed europeo di scuola, non meno impulsivo di Sissoko. Non vale 25 milioni di euro, così come il centrocampista dell’Udinese non ne vale 20. Il capolavoro, per ora, lo ha realizzato Pantaleo Corvino, direttore sportivo di quella Fiorentina che i tifosi, ingrati, contestano e minacciano (?). La valutazione di Felipe Melo supera i soldi sborsati per Amauri e Diego. Non si capisce, inoltre, perché Felipe Melo sì a 25 milioni e, un anno fa, Xabi Alonso no a 17. Ciò premesso, la Juventus ha fatto una scelta della quale, naturalmente, risponderà. Una scelta chiara, netta: Felipe Melo, Diego, Amauri. È proprio un calcio capovolto: Galliani ha scoperto i giovani (Di Gennaro, il figlio di Zigoni); la Juventus, il Brasile.La squadra di Ranieri rimorchiata da Ferrara arrivò seconda, a dieci punti dall’Inter. Pagò una serie inenarrabile di infortuni, la topica Poulsen, un centrocampo avaro di idee e la crisi degli ultimi due mesi. La società ha investito una cinquantina di milioni, cifra inferiore soltanto alle spese di Real e Bayern: non è una battuta. Dovrà contendere lo scudetto all’Inter fino in fondo: non esistono alternative accettabili. Mourinho, che ha già acquisito Thiago Motta e Diego Milito, fior di giocatori (il secondo, soprattutto), aspetta Ricardo Carvalho e Deco, due fedelissimi. In attesa di pesare l’effettiva consistenza di Milan, Fiorentina e Roma, la stagione si consegna al duello fra Inter e Juventus. Felipe Melo è la rotella ideale per il 4-2-3-1 caro al ct Dunga.
Gira e rigira, credo che la grande incognita rimanga Ciro Ferrara.
Ha, dalla sua, il consenso della piazza: aiuta, anche se non basta. Gli servirà, molto, nella gestione di capitan Del Piero.
Oggi, la Juventus è più forte. Ma l’Inter, se non cede Ibrahimovic, resta la più forte.

venerdì 19 giugno 2009

Italia, che mummie




lastampa.it
La Confederations Cup rotola pigramente verso il suo destino. Brasile e Spagna, due vittorie su due. L’unica variabile al ribasso, fra le Grandi, è l’Italia: carenza di fantasia, non uno che salti l’uomo. Gli americani erano rimasti in dieci poco dopo la mezz’ora. Scoppiarono nella ripresa, logorati dall’uomo in meno e forati dai chiodi di Giuseppe Rossi. L’Egitto con noi le aveva sempre buscate, quattro partite quattro sconfitte. Ci aspetta al limite dell’area, come noi un tempo. A Zidan manca la e finale, non però il gusto per il calcio di tocco. Rossi stavolta parte titolare, con Quagliarella e il generoso Iaquinta. Non sarà la stessa cosa. Pirlo e De Rossi non bastano e, a tratti, addirittura non servono. È un’Italia mediocre, di confine, alla quale il ritorno di Cannavaro non offre certezze (anche se sul gol di Homos la colpa è di De Rossi).Una lagna tremenda, un sonoro ceffone alla storia e alla classifica Fifa (noi quarti, loro quarantesimi). Già con gli Usa, per quello che può valere un torneo del genere, le ombre avevano schiacciato le luci. Fu l’espulsione di Clark a spezzare l’equilibrio. L’Egitto resta in undici, e si sente. Senza il rigore dell’epilogo, avrebbe bloccato il Brasile, un dettaglio che molti hanno trascurato. I «vecchietti » di Lippi hanno bisogno di stampelle che il ct proprio non trova, da Montolivo a Rossi, sostituito come un figurante qualsiasi. L’importante è non passare da un eccesso all’altro, da Rossi Nembo Kid a tutto qui Pepito? Siamo capaci di questo e altro, noi italiani. Brutta la navicella di lunedì, fragile e ruminante la scialuppa di ieri sera, al di là della sfortuna e delle parate di El Hadary. In tempi non sospetti, Lippi aveva predicato gli effetti benevoli di un eventuale fallimento. I «vecchietti», come li chiama lui, lo hanno preso sin troppo alla lettera. Un’altra mezza partita regalata. E così, domenica, dentro o fuori con il Brasile. Per ora, il colore dominante è il grigio né carne né pesce delle nostre divise.


Continua intanto l'operazione "entusiasmo" lanciata dai giornali a favore della squadra bianconera.
Il mercato la promuove : "sarà Super Juve". Sarà.....
Intanto oggi potrebbe esser il giorno decisivo per l'approdo di D'Agostino in maglia juventina mentre per il sogno(o più illusione?) Giuseppe Rossi bisognerà attendere le eventuali cessioni a fare cassa,
Non si argina il momento negativo in casa milanista:
sfuma per motivi di salute persino l'acquisto del talentuoso terzino sinistro Cissokho.
Ancora una volta Corvino si conferma una vera volpe del mercato anticipando tutti:
alla Fiorentina verrà introdotta la clausola rescissoria.
Da oggi a Firenze non ci saranno più incedibili.
E' il futuro di questo nuovo calcio sempre meno poetico e sempre più materialista.
Mi stupisce inoltre il colpo Drenthe, che la squadra viola sta per fare. Prestito con diritto di riscatto.
Vista la carenza di esterni sulla fascia sinistra in casa juventina, non ci si poteva fare un pensierino su, nei frequenti viaggi a Madrid?

giovedì 11 giugno 2009

Italia d'oro





La memoria di Gianfelice Facchetti
ROBERTO BECCANTINI

«Cannavaro insiste in maniera patetica sulla storia dei 29 scudetti, in barba alla giustizia sportiva. Lo fa senza ritegno, senza che nessuno dei vertici federali gli faccia presente quel che è stato e che il ruolo che oggi riveste comporta responsabilità». È l’incipit del corsivo che Gianfelice Facchetti, figlio dell’indimenticabile Giacinto, ha scritto per il «Corriere della Sera» del 9 giugno 2009. Un’opinione forte: discutibile ma rispettabile. Ciò doverosamente premesso, lo stralcio e l’articolo suggeriscono qualche riflessione.
Per la cronaca, Fabio Cannavaro ha sempre sentito suoi quegli scudetti anche prima di lasciare la Juventus, non soltanto adesso che vi è tornato: atteggiamento che, se effettivamente inedito, avrebbe suffragato la «ruffianeria» citata dall’autore.
Sempre per la cronaca, anche Zlatan Ibrahimovic (due titoli) e Patrick Vieira (un titolo) rivendicano gli scudetti di Calciopoli, eppure di loro, nell’articolo, non c’è traccia. Una dimenticanza che contribuisce a rafforzare un concetto caro a Gianfelice (e al sottoscritto), «L’Italia è un Paese con la memoria corta». Verissimo. Soprattutto quando ci fa comodo.
Insomma: mi sarebbe piaciuto leggere un cazziatone a Cannavaro e, nello stesso tempo, almeno una tiratina d’orecchie agli interisti Ibra e Vieira. Così come spero di leggere un giorno o l’altro un articolo di Gianfelice contro Giuseppe Gazzoni Frascara, l’ex patron del Bologna che continua ad accusare il padre di aver fornito alla Reggina l’«agenzia sbagliata» per iscriversi al campionato. Non ho fretta: aspetto.

mercoledì 8 aprile 2009

The show must go on

Pur con la morte nel cuore per quanto sta capitando al meraviglioso popolo abruzzese, torniamo a discutere di Juventus, per cercare di distrarci.
Non me la sento però di esprimere ancora un mio concetto personale ed allora parlo attraverso 2 opinionisti juventini a cui sono molto legato.
Nel video qui sotto riportato, Giampiero Mughini spiega in pochi minuti la farsa che è stata Calciopoli, alla presenza in studio di Gianluca Paparesta.

Roberto Beccantini invece lancia un appello:
Juve basta Knezevic, Poulsen & C. Cosa vuoi fare da grande?

La Juventus, seconda in Italia, ha raccolto 63 punti in trenta partite, cinque in più di un anno fa. Il Liverpool, secondo in Premier, «appena» 67 in trentuno. E poiché il Liverpool è il Liverpool, inutile barare: il livello medio del nostro campionato è modesto. L’analisi del dopo Pellissier non può non partire da questo dato. I rischi sono due: far finta di niente, far finta di troppo. Poteva fare di più, calcolando infortuni e variabili assortite, la squadra avvicendata dal 31 agosto a domenica? No. Poteva essere migliore, visti i quattrini investiti? Sì. In attesa del nuovo stadio, e delle sue ricchezze, le idee non conteranno meno dei soldi. Le idee e la chiarezza d’intenti. Dalla politica dei «normali ma molti» urge passare ai «pochi ma ottimi».
Dirigenti
Jean-Claude Blanc è amministratore delegato e direttore generale. Si tenga la prima carica e lasci la seconda. Serve un referente tecnico in grado di accompagnare il lavoro di Alessio Secco. Ce n’erano due: Bettega, ufficioso, e Tardelli, ufficiale. Troppi. Ma da due a zero è forse peggio. Allenatore
Il contratto di Ranieri scade il 30 giugno 2010. La proprietà ha deciso di rispettarlo. Strano destino, il suo: quando la Juve vince, merito di Del Piero tutor; quando perde o pareggia, colpa sua. Peccato originale del mister, aver scartato Xabi Alonso e spinto per Poulsen. Non è poco, non è tutto. Come insegnano fin dall’asilo, è la società forte a fare forte l’allenatore. Piano piano, i lasciti tecnici della Triade si stanno esaurendo. Cruciale sarà il prossimo mercato: capiremo quale Juve la Juve vorrà essere. Con Ibrahimovic, era prima e l’Inter terza; senza, la gerarchia si è rovesciata. A buon intenditor.
Vecchia guardia
Il nodo dei nodi rimane Del Piero. Il 9 novembre compirà 35 anni. In discussione non ci sono né la classe, enorme, né la gratitudine, eterna. Se mai, l’età e il logorìo. I tifosi cominciano a dividersi: chi lo vorrebbe sempre, a prescindere, e chi dosato. Buona la seconda, nella speranza che accetti il ruolo di leader: non già dimezzato, ma meno impiegato. A chi scrive, piace la scommessa Cassano, 27 anni a luglio. Subito, però. Non dopo i Mondiali, ai quali aspirano entrambi. E non in cambio di Giovinco. Capitolo Buffon: di fronte a un’offertissima, si tratta; per il resto, magari tutti i problemi della Juve fossero Buffon, o il suo rendimento, non più galattico ma nemmeno banale. In Nazionale, sbaglio o ci aveva salvato sia in Montenegro che a Bari? Per il dopo Nedved, inutile inseguire un altro Nedved. Non esiste. L’elemento che più gli assomiglia, Stankovic, fu bocciato dalla piazza: complimenti. David Silva, Hamsik, Guberti: significa ricominciare da un modello diverso. Il reparto che, per paradosso, potrebbe restare tale quale, è l’attacco: Amauri, Del Piero, Iaquinta, Trezeguet (a patto che non venga ceduto per far cassa), Giovinco. A proposito: se credo in Giovinco, classe 1987, non corro dietro a Diego, ma alla Juve ci credono sul serio?
Esigenze
Alle spalle di Camoranesi, c’è Marchionni.... I reparti che sollecitano i restauri più radicali sono difesa e centrocampo. Detto che la caccia generalizzata a Mexes dà la misura di una categoria di centrali non proprio eccelsa, la rosa pullula di mediani, uno dei quali, Sissoko, è diventato fondamentale. Ma neppure Sissoko è il regista che manca. Lo sarebbe stato uno Zanetti integro, versione 2007-2008, o lo Xabi Alonso corteggiato e poi frettolosamente scartato. La Juve non gioca peggio dell’Inter, che con Ibra e Vieira molto la ricorda: ha solo meno talento nei settori nevralgici, soprattutto in mezzo al campo, là dove si raffina la manovra e si danno i tempi. La Juve di Ranieri tende provocatoriamente a produrre più gol che palle-gol. I lettori inorridiranno avendo ancora sullo stomaco la tripletta di Pellissier, ma proprio l’organizzazione difensiva incarna la specialità della casa. Vero, Chiellini e Mellberg sono stati bruciati sullo scatto, ma vogliamo parlare di chi avrebbe dovuto (almeno) disturbare il «lanciatore»?
Obiettivi
Terza al ritorno in A e oggi seconda, eliminata negli ottavi di Champions League dal Chelsea, semifinalista in Coppa Italia (andata, 2-1 per la Lazio; ritorno, 22 aprile a Torino): siamo in linea con i programmi e i pronostici (persino di Moggi). L’ultimo salto, però, è sempre il più complicato e pericoloso. Basta con i Tiago, gli Almiron (ci cascò pure il sottoscritto), i Poulsen, i Knezevic contesi al Toro, gli Andrade senza una riga, dicasi una, che tutelasse il club da possibili ricadute, stop alla lunga sfilza di parametri zero. Meno quantità, più qualità. Con un occhio al bilancio e l’altro alla storia.