Oggi voglio riportare a Voi tutti una stupenda lettera, piena di Storia, ricevuta da un affezionato lettore del blog.
"Caro Discreti, sono juventino dal '46. La seguo da tempo, ma non sapevo vivesse a Roma. Questo le rende ancora più onore...
Le faccio una premessa, per esser chiari. Il cosiddetto affare “calciopoli” – che brutto neologismo!, come tanti altri di moda inventati dai nostri media - ha trovato linfa nell’arroganza culturale del mondo calcistico, che ha voluto e saputo imporre – anche con il consenso di chi, per rispetto del proprio sapere (giuridico nel nostro caso) avrebbe dovuto impedire indebite invasioni di campo. La “scienza” calcistica, arrogante e prepotente per la sua forza economica, ha imposto il principio che il “club” si dà le sue regole ecc. Giusto.
Ma questo vale per portare l’uniforme, per entrare nella sede col piede che dice l’art. 1, ecc. ecc. Quando però un comportamento difforme dallo statuto del club incide sulla sfera patrimoniale o privata, di persone fisiche e giuridiche, non si possono eludere le leggi che regolano il funzionamento di una società organizzata nel rispetto del diritto, senza annullare, peraltro, la riprovazione degli affiliati al club. L’arroganza di questi soci, con il sostegno culturale di soggetti che non avrebbero dovuto tradire il proprio sapere accumulato nei secoli, ha inventato l’aberrante processo di “calciopoli”.
Aberrante e orripilante perché, per trovare un modello cui associarlo, bisogna tornare indietro nei secoli bui della storia della nostra civiltà.
Riporto qui di seguito una pagina tratta dal “Compendio istorico della rivoluzione e controrivoluzione di Napoli” di Anonimo, il cui manoscritto incompleto io scopriì nella Biblioteca Nazionale di Francia, e ne feci quella che si chiama curatela con prefazione e annotazioni e pubblicai nel 1999 sotto gli auspici dell’Istituto di Studi Filosofici di Napoli in occasione del bicentenario della rivoluzione napoletana. L’Autore, rimasto anonimo, era uno dei rivoltosi catturato e estradato in Francia durante la repressione borbonica, e di cui si sono perse le tracce:
“E’ tempo ormai di parlare del processo siculo adottato in Napoli dal re Ferdinando.
Per quanto la ragione ora detta, e per quanto la storia delle leggi di tutte le colte e incolte nazioni ne insegna, antiche e moderne, libero o dispotico il lor governo, non v’è giudizio criminale, ove il reo non sia legittimamente interrogato, e gli sia fatta nota l’arma. Quell’atto cotanto solenne che chiamasi costituto [cioè l’interrogatorio davanti al giudice], è per sua natura così essenziale, che ove manchi non c’è giudizio. La sola varietà che si osserva tra le nazioni, è che nei governi liberi quell’atto solenne si esegue sul principio del giudizio, cioè tosto che l’accusa è stata prodotta, e ne’ dispotici si esegue dopo che l’accusatore ha prodotto le sue prove , ed ha formato il processo giudiziario, che da’ criminalisti chiamasi “inquisitorio”. Nell’eseguirsi questo solenne atto, è tenuto il giudice a interrogarlo su tutti i capi d’accusa prodotti dall’accusatore, e religiosamente registrare le risposte del reo, di maniera che, s’egli ha omesso qualche capo d’accusa, non può nel processo imputarsi al reo; né può farglisi dimanda in quei capi d’accusa de’ quali non esiste prova.
Or nel “processo siculo”quest’atto ritenuto necessario non forma parte essenziale del processo, di guisa che è in arbitrio del fiscale [oggi pubblico ministero] di voler interrogare il reo o non interrogarlo nel principio, nel mezzo, o alla fine del giudizio. Lo interroga a suo piacere su quei capi d’accusa che siano o no stati dedotti o provati. E quel che reca sorpresa maggiore, non fa il fiscale, né il giudice, scrivere se non quelle risposte del reo che guidano la ragione fiscale, tralasciando quelle giovino all’infelice accusato. E finalmente se dalla bocca del reo niun vantaggio me ha tratto il fisco, nulla si scrive e tirasi innanzi il giudizio senza “costituto”.
In qualsivoglia modo, adunque, s’incominci il processo, se col “costituto” o senza, si chiamano i testimoni fiscali, e s’interrogano su’ capi d’accusa. E se costoro depongono in parte a favore e in parte contro dell’accusato, scrivesi solo ciò che gli nuoce e si tralascia ciò che gli giova. E se la deposizione del testimone possa giovare al reo, in tal caso si trapassa e si pone in carcere il testimone; ed essendo costante, si manda via senza scrivere il suo detto, oppure si fa marcire per lunghissimo tempo in carcere e si dilunga il processo dell’accusato. Ed è spesse fiate accaduto che l’accusato sia stato assolto e scarcerato, e i testimoni, che avevano ricusato di deporre il falso, sono rimasti lunga pezza carcerati. […] . Questo appunto è il “ processo siculo” di cui ha fatto uso il “tribunale di sangue” stabilito in Napoli, per effetto del quale migliaia di vittime si sono mandate a spietata morte”. (pagg. 94/96 Cit. Compendio).
Come vede, caro Discreti, il rito di Calciopoli non lo hanno inventato nel 2006, ma alcuni secoli prima. Nel regno borbonico quel rito, di origine medievale era desueto, ma re Ferdinando lo ripristinò espressamente nel 1799.
Visto che siamo in tema di sopraffazioni e di gestione della giustizia secondo la convenienza del prepotente di turno, mi consenta una chiosa. Nel calcio oggi la prepotenza è imposta e esercitata dai media (prevalentemente televisivi) perché è il pacchetto più ricco dei palinsesti. Gli abbonati, Iva o non Iva, crescono (ci sono ovviamente anch’io). Deve, quindi, crescere la platea dei cosiddetti giornalisti e ex calciatori-opinionisti ( ai miei tempi: “ Ciao papà, ciao mamma”) che animano quotidianamente il teatro dei pupi (è solo un caso che sia “siculo” anche questo). Oggi la platea dei cronisti e grilli parlanti del calcio è aumentato a dismisura (serve e chi non ha un mestiere lo trova dietro l’angolo). Ma soprattutto visto il suo retroterra – ovviamente parliamo delle degenerazioni – non è sostenuto da un’etica professionale, quella che oggi, con abuso e di frequente, si definisce morale. A questo proposito voglio fortemente affermare che, per tenere in piedi questa “baracca” la quale, crisi o non crisi, produce tanti soldi, si distruggono etica e tutte le virtù che dovrebbero farle corona. Ma scusi, non è maramaldesco l’atteggiamento censorio ecc.ecc. di tutti i commentatori che si rivedono a casa, a va e vieni, i fotogrammi, ingranditi, rallentati, girati, ologrammati ecc., di fasi viste dalle giacchette nere una volta sola in una frazione di secondo su un campo da gioco? E’ morale contrapporre due atteggiamenti così sperequati? Naturalmente non parliamo del soggetto-arbitro, con le sue debolezze, i suoi comportamenti, la sua personalità, le sue devianze ecc. Ma quale giornalista, roboante docente ordinario dalle cattedre gazzettesche, con tutti i master e visiting che vogliamo, sarà mai in grado di vedere i vari Gilardini o altri centinaia come lui che stanno sul fil della sinopia, quello tracciato sugli schermi televisivi? E dai cui nascono milioni di parole e ore di polemiche e di accuse contro questo e quello, e contro ladri, immorali, disonorati? E’ sommamente immorale e irriguardoso nei riguardi di persone (gli arbitri). Che pure lo hanno famiglia e fanno le comparse settimanali degli schiaffeggiati a piacimento. Un’ultima aggiunta per il coraggio dei nostri gazzettieri. Sulla Juve , per esempio, visto che sono un partigiano di quella fazione, si è sempre detto che esercitasse ecc ecc , che rubasse ecc.
Si dice che il popolo bue tira sempre per chi va al tappeto.
Nient’altro, però, finché è stato vivo Agnelli.
Poi i leoni – che contraddizione – sono scesi in campo.
Sarà stato per il petrolio che saliva sempre di più?
Cordialmente un suo affezionatissimo lettore,
Luigi Lerro