C’è un dato che meglio degli altri, e persino del nuovo record, illustra la differenza del Milan. È l’unica, fra le grandi squadre, ad aver conquistato più trofei internazionali (18) che scudetti (17). Il sorpasso di Yokohama, a spese di un Boca Juniors cucinato per un tempo e divorato nell’altro, conferma quanto la società di Silvio Berlusconi, presidente dal 1986, abbia ridisegnato il podio della storia. In principio c’era il Real Madrid, ostetrico del moderno europeismo. Strada facendo, gli è subentrato il Milan. Fatti, non parole. Da Rocco a Sacchi. Da Capello ad Ancelotti. E poi: da Cesare a Paolo Maldini. Da Altafini a Kakà, da Van Basten a Inzaghi. Non conta l’età. Conta lo stile. E lo stile del Milan è - sin dal nome, inglese - rivolto per tradizione, e convinzione, ai safari esteri.Champions, Supercoppa, Mondiale per club. Un 2007 straordinario. Ogni medaglia ha due facce, e la «croce» del Milan è il campionato. Non lo «sente»: anche perché, oggi, non ha i mezzi dell’Inter. Il trionfo giapponese non sposta i rapporti di forza, ma spariglia molto, moltissimo, l’albo d’oro. Per arrivare a Yokohama, bisogna arrivare primi in Europa. E per arrivare primi in Europa, bisogna arrivare almeno quarti in Italia. Il Milan è imbattibile, o quasi, nella partita secca. Nessuno sa cogliere l’attimo come i suoi moschettieri. Nel commentare l’ennesima impresa dagli studi di Mediaset, una battuta vagante, relativa alla nebbia di Belgrado, me ne ha ispirata un’altra, legata alla foschia di San Dulli, la cui sentenza aveva permesso al Diavolo di recuperare i preliminari dell’ultima Champions. Insomma: nascere con la camicia non basta, ma aiuta. Galliani, in collegamento da Yokohama, non ha gradito e si è ritirato, come a Marsiglia. I meriti del Milan, sia chiaro, rimangono enormi. Dopo il Liverpool, che l’aveva rimontato e sfrattato a Istanbul, ha sistemato il Boca, che lo aveva beffato nel 2003. La stagione delle rivincite.Il Milan è il ministro degli esteri del nostro calcio. Adora le trattative brevi e le emozioni forti. Conserva un nucleo di italiani ai quali Kakà offre sempre le ciliegine e spesso la torta. Da quando Berlusconi ha chiuso i rubinetti, non può più competere su entrambi i fronti, come fino al 2006. Le corse a tappe sono più attendibili; le classiche, più affascinanti. Non a caso, alla vigilia, Ancelotti aveva parlato di «utopia».Si avverte, all’interno, un gusto del focolare capace di riscaldare le ciniche esigenze del business. Una gestione così romantica delle risorse potrà magari allontanare i ricambi, ma crea uno spirito di gruppo tale che porta capitan Maldini, a 39 anni suonati, ad alzare una coppa che, in barba alla formula, discutibile, riassume un indiscusso valore. Tutti, a cominciare da Mancini, avrebbero voluto essere lì, al posto di Carletto. E tutto, potete giurarci, faranno per scalzarlo. A proposito: domenica c’è il derby.
di Roberto Beccantini
2 commenti:
e non è solo una questione di prestigio vincere i trofei internazionali: chi ha vinto la coppa intercontinentale si porta a casa 16 milioni di euro. senza contare poi il merchandising: provate ad immaginare quante òagliette il milan venderà adesso in giappone e in tutto il sud-est asiatico. e i contratti con gli sponsor giapponesi... per quanto riguarda la gestione economica del milan (il fatto che berlusconi ha chiuso i rubinetti) dipende da quando mediaset/fininvest è entrata in borsa. prima berlusconi poteva usare i soldi mediaset per il milan, adesso non più (ci sono gli azionisti a cui rendere conto). poi, si risparmia per gli acquisti, ma non si risparmia per aiutare ex in difficoltà: vedi ba, ke era senza contratto, veniva da un grosso infortunio, e ke il milan sta aiutando a recuperare (e questi episodi -altri c'erano già stati: l'amico di seedorf, il terzino bianchi ecc.- favoriscono poi l'attaccamento dei giocatori alla società, nonché la forza del gruppo)
cmq, il riferimento di beccantini a galliani su sandulli è stato proprio fuori luogo. è come essere invitati a un matrimonio di uno e ricordargli i 2 di picche presi prima! c'è un bellissimo film di r. redford ("Il migliore"), in cui Robert Duvall interpreta un giornalista che invece di esaltare il talento dei campioni scava nella loro vita per vedere se trova qualcosa (anche la minima) per screditarli. quel personaggio rappresenta l'invidia e la pochezza dei mediocri verso invece chi è dotato di talento. è una cosa tipica dei giornalisti sportivi, e beccantini ne è un esempio lampante. non mi ricordo quale grande giornalista l'abbia detto, ma qui in italia diventa giornalista sportivo chi non ce la fa a diventarlo nella cronaca. basta vedere anche i titoloni sui vari quotidiani sportivi e leggere i diversi articoli: per le banalità e la poca competenza, potrebbe farli benissimo anche qualsiasi avventore di un bar sport...
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